IL RISPETTO DELL’OBBLIGO DI SEGNALAZIONE COME LIMITE ALLA RESPONSABILITÀ DEL R.S.P.P.
Poche righe per proporre un chiarimento veloce da leggere attraverso l’analisi di una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 11492 del 24/01/2013).
La sentenza che ci si propone di esaminare, infatti, nel porsi in linea con le precedenti decisioni di legittimità, traccia una linea di demarcazione utile ad individuare i confini della responsabilità penale del RSPP.
Il fatto
Un paziente in cura presso un ospedale cittadino, sottoposto ad una terapia mediante apparecchio elettromedicale, veniva colpito da una forte scossa elettrica a causa di una sovratensione dell’impianto elettrico generale che si trasmetteva al degente attraverso l’apparecchio stesso. Il paziente cadeva rovinosamente dal letto, perdeva i sensi e riportava una lesione lacero-contusa al capo, con ricovero in ospedale per 3 giorni.
Gli imputati
L’addebito era contestato al RSPP dell’azienda sanitaria e al direttore del servizio manutenzioni della stessa ASL avente, secondo il Giudicante, la qualifica di dirigente. Nella disamina di cui appresso ci si limita ad analizzare la parte motiva della sentenza che analizza il ruolo, i compiti e la responsabilità del RSPP.
La contestazione
Viene chiesto il rinvio a giudizio dei due soggetti attraverso l’individuazione di una ipotesi di colpa omissiva sia generica che specifica. In particolare veniva addebitato “di avere omesso di installare o di fare installare e di mantenere in modo adeguato l’impianto elettrico del locale adibito a terapia, di avere omesso di garantire l’adeguato isolamento tra i conduttori dell’impianto elettrico, di avere omesso di predisporre la messa a terra delle parti metalliche, di avere omesso gli opportuni accorgimenti per proteggere l’impianto da sovraccarichi, di avere omesso di predisporre in modo visibile la tabella recante le istruzioni da seguire per i soccorsi da prestare a persone eventualmente folgorate”. Tali addebiti di colpa venivano ritenuti causalmente collegati con l’incidente, con conseguente riconducibilità colposa del fatto, commesso tramite omissione, al reato di lesione colpose previsto e punito dall’art. 590 c.p. aggravato dalla violazione di norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. A supporto della condanna, il Giudice di appello poneva come dimostrata, alla luce dei controlli anche tecnici eseguiti sull’impianto, l’irregolarità dell’impianto elettrico che risultava, tra l’altro, non a norma.
La difesa del RSPP
Da quanto risulta evincibile dalla sentenza della Suprema Corte che richiama le motivazioni con cui la Corte di Appello supera le difese avanzate dal RSPP, pare che le stesse fossero fondate sulla inesistenza di una “posizione di garanzia” direttamente ricollegabile allo svolgimento del ruolo di RSPP il quale, non solo sarebbe soggetto tenuto esente da specifiche contravvenzioni di natura penale all’interno del sistema delineato dal D.Lgs. n. 81/08, ma che non avrebbe colpa rispetto all’evento accaduto in quanto il suo compito sarebbe unicamente quello di semplice consulente del datore di lavoro. Secondo la difesa nulla avrebbe potuto fare il RSPP nel caso specifico perché l’intervento avrebbe necessitato ingenti finanziamenti allo Stato non disponibili. Inoltre, il soggetto infortunatosi, non essendo un lavoratore, non sarebbe un soggetto tutelato dalla normativa.
Il ragionamento della Corte di Appello
La Corte di Appello, chiamata a valutare le motivazioni con cui il Tribunale di prime cure aveva affermato la responsabilità dei soggetti coinvolti, ne conferma l’esistenza sulla scorta dei risultati dell’istruttoria dibattimentale. In particolare, con riferimento alla posizione del RSPP, gli esiti delle relazioni tecniche versate in atti riscontravano la presenza nei locali di un impianto elettrico non a norma, che provocava situazioni repentine di sovratensione, con conseguente malfunzionamento degli apparecchi medicali ed un aumento rapido della corrente erogata dagli elettrodi. Da tale accertamento conseguiva la responsabilità dell’imputato per negligente sottovalutazione dei rischi e per l’imperizia dimostrata dallo stesso ad affrontare la situazione di pericolo in quanto, nella sua qualità, avrebbe dovuto non solo segnalare l’effettività del rischio, ma anche proporre concreti ed idonei sistemi di prevenzione e protezione per evitare eventi del tipo verificatosi. Secondo la Corte di Appello, in altri termini, il RSPP, proprio nella qualità anzidetta, avrebbe dovuto diligentemente ravvisare e segnalare il problema al responsabile AUSL, affichè questi procedesse in tempi ordinari, senza attendere l’erogazione dell’ingente finanziamento occorrente per la totalità dei lavori necessari nell’edificio. In particolare, come affermato da uno dei consulenti nominati dalla Procura, “sarebbe stato sufficiente attuare il collegamento delle apparecchiature potenzialmente pericolose a dei gruppi di continuità e stabilizzatori di tensione, in modo tale da non consentire variazioni rapide delle tensioni in linea”.
Il ragionamento della Corte di Cassazione
Chiamata a giudicare la legittimità della sentenza di secondo grado sotto svariati profili, nonché la logicità della motivazione e del ragionamento giuridico posto a fondamento della condanna, la Suprema Corte traccia il perimetro della responsabilità penale del RSPP. Innanzitutto la Corte supera l’equivoco in cui molti incorrono nell’identificare i compiti del RSPP e ne ricostruisce il ruolo all’interno del sistema prevenzionistico. Il punto di partenza è l’inesistenza di una posizione di garanzia in capo al RSPP, il quale non può dirsi titolare di alcuna autonoma posizione di tutela rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica, né soggetto “delegato” dal datore di lavoro in quanto semplice consulente dello stesso[1]. In altri termini, secondo gli Ermellini, una corretta ricostruzione dei compiti del RSPP deve portare ad escludere che il medesimo abbia capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale, dovendosi il suo ruolo identificare con quello di chi presta “ausilio” al datore di lavoro nella individuazione e nella segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza nonchè di Informazione e formazione dei lavoratori (cfr. art. 33 del Decreto cit.)[2]. Fatta tale precisazione, tuttavia, i Giudici di legittimità analizzano il caso nella specificità del suo verificarsi e, pur non escludendo a priori la responsabilità del datore di lavoro, confermano l’orientamento ormai adamantino, secondo cui esiste uno spazio di responsabilità penale concorrente del RSSP, laddove questi abbia, con le sue omissioni o con la sua imperizia, contribuito alla verificazione dell’evento infortunistico[3]. Su tale presupposto la Corte afferma che il RSPP, seppur privo dei poteri decisionali e di spesa che gli consentirebbero di intervenire direttamente per rimuovere le situazioni di rischio, può essere ritenuto responsabile di un infortunio ogni qualvolta questo sia riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare. Ciò, nel presupposto che a seguito della segnalazione il datore di lavoro, venuto a conoscenza del rischio, avrebbe adottato le necessarie iniziative tese a neutralizzare detta situazione. Nel ragionamento della Corte, dunque, risulta chiaro come in capo al RSPP, a differenza che in altri soggetti, debba essere tenuta distinta la responsabilità prevenzionale dalla responsabilità penale per reati colposi di evento. Nel primo caso, afferma la Corte, “Il RSPP non può essere chiamato a rispondere per il solo fatto di non avere svolto adeguatamente le proprie funzioni di verifica delle condizioni di sicurezza, proprio perchè come si è visto, difetta una espressa sanzione nel sistema normativo”[4]. Il fatto, però, che la normativa di settore escluda la sanzionabilità, penale o amministrativa, di eventuali comportamenti inosservanti dei componenti del servizio di prevenzione e protezione, non significa che questi componenti possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell’ambito dell’incarico ricevuto. Ne consegue, ed è il secondo caso, “che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo (Sezione 4, 15 luglio 2010, Scagliarini). Secondo tale assunto, infatti, la responsabilità del RSPP deriverebbe dall’avere impedito (per il tramite dell’omessa segnalazione) l’attivazione dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, con ciò risultando concausa dell’evento in virtù del combinato disposto dell’ art. 113 c.p., e art. 41 c.p., comma 1.
CONCLUSIONI
Dalla fattispecie analizzata e dal ragionamento giuridico proposto dalla Suprema Corte, pare poter identificare il limite della responsabilità penale del RSSP nel corretto adempimento dell’obbligo di segnalazione, considerato e ritenuto fondamentale dalla Corte ai fini del trasferimento della intera responsabilità nei confronti del soggetto avente diretti poteri di intervento. Nella prospettiva ermeneutica offerta dalla Corte in tema di compiti e ruolo del RSPP, infatti, emerge chiaramente come la responsabilità penale di tale figura possa configurarsi ogni volta che questi, con l’omessa segnalazione (il cui obbligo è ritenuto elemento fondante del suo ruolo), non abbia consentito che altri (dirigenti o datore di lavoro) intervenissero per eliminare le situazioni di rischio e di pericolo, con ciò concorrendo alla eziologia dell’evento infortunistico. Chiunque oggi voglia correttamente ricoprire tale ruolo, tentando di tenersi esente da contestazioni di natura penalistica, dovrà costantemente informare il datore di lavoro (il dirigente o anche il preposto) di tutte le criticità riscontrate, siano esse conosciute o conoscibili, consigliandolo contemporaneamente in ordine alle misure da attuare per ridurre o eliminare il rischio/pericolo individuato. Il ruolo del RSSP dunque, non può e non deve limitarsi ad una mera assistenza nella fase di predisposizione del DVR, ma deve essere un costante e continuo rapportarsi alla realtà aziendale in funzione dell’esistenza di tale obbligo di segnalazione. Naturalmente tale obbligo sussiste ove il RSPP abbia avuto dal datore di lavoro tutte le informazioni necessarie a valutare il rischio e, conseguentemente, sia stato messo nelle condizioni di svolgere per intero la sua funzione. D’altra parte, è evidente che il RSPP, nella maggior parte dei casi, non è un dipendente dell’azienda, ma un consulente esterno che deve a sua volta essere costantemente informato dal datore di lavoro di tutte quelle potenziale problematiche o di quei cambiamenti da cui poter desumere l’esistenza di un rischio nuovo prima non valutato o di misure di prevenzione divenute inidonee a fronte del cambiamento del rischio. Purtroppo, anche a causa della difficile congiuntura economica, il ruolo del RSSP viene spesso sottovalutato dalle aziende che, nell’ottica del risparmio, si affidano spesso a soggetti che, seppur muniti dei titoli previsti dalla legge, non sono sufficientemente esperienti per far fronte alle esigenze di sicurezza dell’azienda, dei lavoratori e dei soggetti comunque coinvolti. Tuttavia, fino a quando la sicurezza sarà percepita come un costo anziché come un investimento, si tenterà di associarla al rispetto della parte burocratica del D.Lgs. n. 81, e non al corretto funzionamento di tutte le dinamiche produttive in termini di tutela del lavoratore. Ma stando così le cose, signori RSPP, che siate d’accordo oppure no, segnalate, segnalate segnalate.
avv. Federico Lentini
[1] In proposito, si legge nella sentenza “la “designazione” del RSPP, che il datore di lavoro era tenuto a fare a norma dell’art. 8 del D.lgs. n. 626/94 individuandolo ai sensi dell’art. 8 bis del citato decreto tra persone i cui requisiti siano “adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative”, ora artt. 31 e 31 D.lgs. n. 81/08 non equivale a “delega di funzioni” utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perchè ciò gli consentirebbe di “trasferire” ad altri – il delegato – la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore dì lavoro in quanto ex lege onerato dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all’espletamento dell’attività lavorativa”.
[2] A sostegno di tale assunto, la Cassazione individua due circostanza normative: 1) l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, seppur in collaborazione con il RSPP, fa comunque capo al datore di lavoro, che rimane il titolare della posizione di garanzia; 2) la normativa di settore, non prevede alcuna sanzione penale a carico del RSPP, mentre punisce direttamente il datore di lavoro già per il solo fatto di avere omessa la valutazione dei rischi e non adottato il relativo documento.
[3] Naturalmente, il problema principale di fattispecie come quella che si analizza è l’individuazione ex post di un comportamento omissivo che possa dirsi eziologicamente correlato con l’evento dannoso (ovverosia di un giudizio prognostico effettuato dopo il verificarsi dell’evento che individua nel comportamento non tenuto un fattore tale da escludere, se posto in essere, il verificarsi dell’evento stesso): affinchè possa considerarsi penalmente rilevante una comportamento omissivo, in conformità con i principi che disciplinano la causalità nel diritto penale, dovrà dunque accertarsi che ove tenuto, quel comportamento avrebbe evitato o avrebbe considerevolmente ridotto, quantomeno in termini di ragionevole probabilità, la possibilità di accadimento dell’evento infortunistico.